Cari lettori eccomi di nuovo a scrivere
su queste pagine. Ultimamente sono stato un po' oberato a causa del
lavoro e non ho trovato il giusto tempo per argomentare la mia mai
cessata curiosità. Quindi, mentre non mi facevo sentire, ho in
realtà preso nota delle cose che mi incuriosivano e di cui volevo
parlarvi. Iniziamo con un altro capitolo del nostro erbario! Qualche
giorno fa una collega si è presentata al lavoro con delle piantine
di Aloe. Prontamente me ne sono prese un paio e le ho portate a casa
per piantarle sul mio non ancora eccessivamente occupato balcone. Il
primo passo è stato capire cosa mi stavo portando a casa. Infatti al
genere Aloe (piante succulente appartenenti alla famiglia delle
Aloeaceae) appartengono più di 30 specie differenti. Vengono
definite piante succulente a causa della loro struttura, costituita
da tessuti in grado di immagazzinare grandi quantità di acqua. In
ogni caso al genere aloe appartengono piante da caratteristiche
abbastanza comuni nelle diverse specie. Sono piante sempreverdi di
cui alcune sono acauli (prive di fusto) con le foglie disposte a
rosetta, altre con il fusto alto, semplice o ramificato. Le più
conosciute sono la vera (Aloe barbadensis) e l'arborescens.
L'aloe vera ha foglie di colore verde-grigio, screziate e carnose,
che raggiungono anche i 50 cm di lunghezza. Forma una infiorescenza
formata da numerosi fiori gialli
e il
fusto è praticamente assente. L'A. Arborescens ha le
foglie disposte a rosetta in modo sparso con i margini dentati.
Solitamente ad essere coltivate sono le piante più giovani perché
nel corso del tempo la pianta può facilmente raggiungere i due metri
di altezza. Al contrario della vera, il fusto in questa specie è ben
visibile. Sulla base di queste informazioni credo di avere di fronte
delle piantine di arborescens,
visto che essa è simile a un alberello, mentre la vera ha più una
forma a cipolla. La
loro origine si ritiene sia da ricercare nelle zone tropicali che si
affacciano sull'Oceano Pacifico (Madagascar e Arabia ad esempio).
Nella nostra amata Italia, è possibile vederle crescere soprattutto
lungo i litorali, spesso in compagnia dell'agave, coltivate sia per
la loro resistenza che per le loro splendide fioriture.
COLTIVAZIONE. In generale, molte specie
richiedono ampi spazi di coltivazione in relazione al fatto che
diventano molto grandi e sarebbero eccessivamente sacrificate in un
vaso. La pianta ha necessità di clima miti per poter crescere
(20-24°C), non tollerando temperature al di sotto dei 10°C. Il
rischio, in questo caso, è che marciscano alcune parti delle radici,
soprattutto nel caso di annaffiature eccessive. La loro natura,
infatti, le rende resistenti alla siccità ma totalmente intolleranti
nei confronti dei ristagni di acqua. In ogni caso, e stando ben
attenti ad innaffiare il terreno e non la pianta sempre per evitare
che le foglie marciscano, ni primavera-estate vanno annaffiate in
maniera moderata (bisognerebbe tener conto del grado di umidità del
terreno), allungare ulteriormente i tempi nel periodo autunnale per
sospenderla del tutto in quello invernale. Una attenzione da porre
nel caso in cui venga coltivata per estrarre succo dalle foglie è
che la pianta non venga annaffiata nei giorni precedenti alla
raccolta (8-10 giorni saranno sufficienti) in modo da concentrare i
principi attivi in esse contenuti. Fiorisce nella tarda primavera,
con fiori di colore rosso, giallo o arancio, che si formano alla
sommità di un lungo stelo, che può essere semplice, ramificato o a
grappolo e la pianta non muore dopo la fioritura. Una caratteristica
di queste piante è l'essere autosterili, ovvero i fiori maschili e
femminili della stessa pianta non possono incrociarsi tra loro o con
piante della stessa varietà, riproducendosi solo per impollinazione
incrociata con altre varietà.
Il travaso dovrebbe essere effettuato ogni anno, nel periodo
primaverile, per assecondare la crescita della pianta. Il vaso
andrebbe scelto più largo che profondo in quanto le sue radici non
vanno molto in profondità, sistemando sassi o altro per favorire il
drenaggio dell'acqua. L'Aloe di solito non si pota: vanno
semplicemente eliminate le foglie basali che via via disseccano per
evitare che diventino veicolo di malattie parassitarie. Usare lame
pulite e disinfettate per questa operazione previene la morte della
pianta a seguito di infezione.
La moltiplicazione dell'Aloe avviene
per seme o per polloni (ovvero per talea da parte di specifiche
strutture a forma di ramo). In considerazione del fatto che sono
piante autosterili, bisogna avere piante di varietà diverse per
poter avere dei semi fertili.
UTILIZZO. Molte sono coltivate a scopo
ornamentale, ma la loro caratteristica principale è quella di essere
utilizzate a scopo medicinale. Nel parenchima delle foglie, infatti,
è presente un succo aromatico, molto amaro che a contatto con l'aria
si indurisce ed è insolubile in alcool molto usato per le sue
proprietà terapeutiche. Nella tradizionale medicina popolare l'aloe
vera era utilizzata come lassativo per costipazioni acute. L'unica
attenzione è che la cuticola della foglia e le spine contengono
antrachinoni, praticamente assenti nel gel interno, che a lungo
ledono irreversibilmente i gangli neuronali che controllano la
motilità intestinale. Come polvere e come unguento, l'aloe si usa
ancora nelle ferite e negli eczemi, visto che è stata riscontrata
una sua funzione antisettica. Negli anni '80 del secolo scorso
l'industria cosmetica ha scoperto l'utilità dell'uso del succo
fresco delle foglia, che dispone di proprietà rinfrescanti e
blandamente idratanti, antiinfiammatori e battericidi, se applicato
sulla pelle, iniziando ad utilizzarlo in saponi ed emulsioni per il
viso.
Ma lista delle sue proprietà
“miracolose” è talmente lunga che lascio a voi l'onere di
curiosare in maniera più approfondita!
CURIOSITA'. Il suo nome deriverebbe da
una parola di origine orientale (forse araba) che significa "amaro"
o dal greco " àls-alòs " che significa "sale",
per ricordare il suo sapore amaro simile a quello dell'acqua di mare.
È comunque una pianta conosciuta fin dai tempi più antichi per le
sue molteplici capacità terapeutiche e le prime testimonianze,
riportate su una tavoletta di argilla ritrovata nei pressi di Bagdad,
datano al 2.200 a.C.
Nella cultura Assiro-Babilonese il suo
succo (chiamato Sibaru o Siburo) veniva utilizzato proprio contro i
problemi digestivi.
Nell'antico Egitto era utilizzata anche
nella procedura di imbalsamazione, oltre al fatto che averla davanti
alla porta di casa era considerato di buon auspicio per una vita
lunga e felice.
Ippocrate, nei suoi
innumerevoli libri di medicina, ne elogia le proprietà
antinfiammatorie, rigeneranti e antisettiche.
Nonostante i primi studi scientifici risalgano al 1850, fu solo
nel 1959 che il Ministero della sanità americano dichiarò
ufficialmente le capacità curative di questa pianta nel caso di
ustioni. Da allora questa pianta è oggetto di approfonditi studi in
tutto il mondo.
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