Viviamo in un epoca in cui la parola
estinzione è diventata di uso comune. Molto spesso gli autori di
questo fenomeno, i cui effetti saranno visibili solo alle generazioni
successive, siamo noi esseri umani. Non sappiamo che mondo regaleremo
ai nostri discendenti, di sicuro meno ricco di quello che abbiamo
ereditato noi, il quale è già stato fortemente depauperato dalle
generazione precedenti la nostra. Molte delle specie ormai estinte
hanno subito il loro destino nel silenzio, senza che nessuno si
accorgesse di questa sciagura se non quando ormai era troppo tardi
anche solo per vedere l'ultimo esemplare. Altre volte è stato
possibile assistere, impotenti a un danno da noi stessi generato,
alla scomparsa di una specie che portava sulle sue spalle una storia
di migliaia, se non milioni, di anni. È il caso, quest'ultimo, di
una specie di colombe, Ectopistes migratorius o piccione
migratore, che ha come data di morte il primo settembre del 1914.
Quasi cento anni fa, infatti, allo zoo di Cincinnati (Ohio, USA),
Martha, ritenuto l'ultimo esemplare di questa specie, muore,
lasciando un posto vuoto grande libro della Natura.
Tipico del continente nordamericano, ma
anche di paesi europei come Francia e Russia, si ritiene che nel XVII
secolo questa specie fosse ancora molto diffusa, come riportato in
diversi documenti redatti da scienziati e naturalisti dell'epoca. Si
parla di colonie di centinaia di milioni esemplari, con stormi in
volo che al loro passaggio oscuravano il sole anche per diverse ore.
Nel 1810 venne osservato uno stormo costituito da più di 2 miliardi
di piccioni! Ma a partire dai primi anni del 1800 iniziò un lento e
inesorabile declino, che accellerò nel 1870. Nel corso di circa 40
anni, fino al 1914, ci fu la decimazione di questa specie, che arrivò
al punto di estinguersi per sempre dalla faccia del nostro pianeta.
Ma cosa può produrre un così rapido
declino del numero di esemplari di una specie? Sicuramente, come
dicevamo, l'uomo ha avuto il suo ruolo in tutto questo, ma è anche
certo che da solo non sarebbe in grado (forse) di causarlo in maniera
così veloce se non si andassero a verificare delle condizioni
ambientali che rendano questa tragedia ancora più rapida. Si
ritiene, infatti, che un duro colpo alla sopravvivenza del piccione
migratore l'abbiano dato tutta una serie di condizioni climatiche
sfavorevoli, come la tempesta di grandine in Michigan (USA) del 1881
che avrebbe distrutto un'intera e vasta colonia, uccidendo gli
esemplari più giovani e disperdendo quelli più anziani, che,
stremati, morirono affogati nel lago Michigan. L'uomo ha poi fatto il
resto bruciandone le colonie (come facevano gli Indiani), disboscando
in maniera estensiva l'habitat naturale di questa specie e
cacciandogli animali in maniera spietata per via della loro carne,
considerata una prelibatezza. Il più grande sterminio di questi
animali, come riportato nelle cronache dell'epoca, risale al 1878,
quando vennero uccisi almeno un milione di piccioni. Pensate che
l'interesse nei confronti della carne di questo animale era tale che
attraverso il telegrafo venivano comunicati gli spostamenti dei vari
stormi in modo da poterli raggiungere e abbatere sempre il maggior
numero di esemplari. Addirittura se ne uccideva un numero tale da
creare un'eccedenza di carne, che finiva per essere utilizzata per
l'alimentazione dei maiali. Dunque, pare che arrivati al 1878, quella
del Michigan fosse l'ultima vera colonia di questa specie esistente
in natura. Nel 1880 sopravvivevano solo un centinaio di questi
animali. Le notizie riportano la presenza degli ultimi nidi
osservabili nel 1894, mentre a partire dal 1899, con l'uccisione di
quella che era ritenuto l'ultimo esemplare selvatico, la specie venne
considerata scomparsa in natura e presente solo in cattività. Ma la
specie stentava a riprodursi negli zoo, con un alta percentuale di
morte per gli esemplari più giovani. Si arriva così al 1914 quando,
nell'indifferenza della gente comune, l'ultimo esemplare di piccione
migratore si spense, mettendo la parola fine alla storia di questa
specie.
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